Tizia citava in giudizio Caio e la sua compagnia assicurativa pe sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale occorsole in manovra di uscita dal casello autostradale, dove veniva investita lateralmente dall’autovettura condotta dal convenuto, che si immetteva sulla carreggiata violando l’obbligo di dare la precedenza. Tizia chiedeva il risarcimento oltre che del danno emergente anche del lucro cessante in quanto aveva dovuto cessare la propria attività di commerciante nonché di casalinga, con conseguente perdita patrimoniale. L’adito tribunale di Treviso accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo vi fosse un concorso di colpa mentre la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’impugnativa e confermava la sentenza di primo grado.
Tizia proponeva ricorso in Cassazione ritenendo che la Corte d’Appello non aveva considerato la perdita reddituale proveniente dalla cessazione della attività commerciale, da lei provata tramite testimoni.
Ugualmente non ha fornito adeguata motivazione circa il mancato riconoscimento del lucro cessante in relazione al lavoro casalingo: la ricorrente evidenziava la gravità dei postumi patiti e la omessa valutazione della incompatibilità delle sue condizioni di salute con lo svolgimento del lavoro domestico.
La Cotte stronca le richieste della donna e sostiene che invece la Corte D’Appello ha adeguatamente valutato la richiesta di danno emergente, concludendo che esso non era stato provato
“In sede di liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli art. 2056 e 1226 cc , ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all’entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell’impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (Cass. Sez. 3, sent. n. 11968/2013)”.
Non emergeva, insomma, dall’attività istruttoria svolta, una prova che il lavoro casalingo fosse di tale entità e rilievo da comportare il riconoscimento di una autonoma voce di danno. E se il danno non è provato, non si può procedere ad una liquidazione in via equitativa.
Insomma, la Corte non dice no in assoluto alla rilevanza del lavoro casalingo, ma sostiene piuttosto che anche per pretese risarcitorie ad esso connesse valgono le regole generali relative agli oneri di allegazione prova del danno.
Cass_civile_Ordinanza_7_luglio_2022__n._21496
© Annunziata Candida Fusco