In un caso di divorzio che vede coinvolti una coppia di coniugi del circondario di Catanzaro, si discute se sia giusto o meno imporre un assegno di mantenimento a carico del marito in favore della moglie senza aver minimante valutato le ragioni del suo stato di inoccupazione.
Il tribunale di Catanzaro aveva negato l’assegno divorzile in favore della moglie mentre la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, riconosceva alla donna un assegno di 900 euro.
Il marito, poverino, ricorreva in Cassazione per i seguenti motivi:
- prima di tutto, la Corte d’Appello non aveva tenuto in nessun conto i principi enunciati dalla celeberrima Cass. 18287/2018, contenente chiare indicazioni sulla natura perequativa- compensativa dell’assegno divorzile;
- di conseguenza, la Corte attribuiva l’assegno senza aver indagato le ragioni della scelta della ex moglie di non lavorare dopo il matrimonio nonostante la qualifica di operatrice socio sanitaria, la sua florida situazione economico-patrimoniale (disponeva di una abitazione di proprietà), la durata del matrimonio.
La Corte di Cassazione dà ragione al marito, accogliendo tutti i suoi legittimi motivi (e dando sfogo alla sua rabbia!!!)
Spiega infatti la Corte che, in effetti, la quantificazione dell’assegno fatta dalla Corte d’Appello non è stata frutto dell’accorta applicazione dei principi ormai consolidati espressi dalla sent. Cass. 18287/2018.
In particolare, i 900 euro mensili sono stati assegnati senza aver compiuto una effettiva comparazione tra la situazione economico-patrimoniale e reddituale delle parti; né si era tenuto conto delle potenzialità reddituali della ex moglie correlate alla sua qualificazione professionale.
In sostanza, dice la Cassazione, “la quantificazione dell’assegno è rimasta priva di una non apparente giustificazione argomentativa”.
Il ricorso va accolto e il marito ottiene vittoria, vedendo anche la ex moglie condannata alle spese di lite!
© Annunziata Candida Fusco